La Certosa di San Martino domina l’intera città di Napoli dall’alto della collina del Vomero ed è visibile in tutta la sua bellezza ed eleganza da molti punti della città.
Guardandola si ha l’impressione che si tratti di una certosa come tante, con le sue linee semplici e pulite, poggiata sulla collina all’ombra del ben più imponente Castel sant’Elmo.
Invece nasconde al suo interno una sorprendente ricchezza artistica, storica e culturale. È un vero e proprio scrigno, ricco di tesori nascosti, opere realizzate nei secoli dai più grandi artisti in circolazione.
Numerosi sono i tesori conservati – i certosini erano di origine nobile e quando entravano a far parte dell’ordine portavano con sé una dote che andava ad aggiungersi a quelle dei monaci che li avevano preceduti. Molte erano le ricchezze, terreni, palazzi, proprietà accumulati nel tempo. Quando i monaci furono costretti ad abbandonare la Certosa dopo la soppressione dell’ordine da parte del sovrano francese, lasciarono dietro di sé tutti i beni terreni acquisiti nei secoli.
Portarono via soltanto le reliquie contenute nelle teche, ora vuote e visibili nei locali di pertinenza della chiesa.

Storia della Certosa di San Martino
La Certosa fu fondata nel 1325 per volontà di Carlo, Duca di Calabria e figlio del sovrano Roberto d’Angiò.
Dei lavori fu responsabile il senese Tino da Camaino.
Nei secoli ha subito diversi restauri e ristrutturazioni, per cui dell’impianto originale restano soltanto i sotterranei in stile gotico.
Uno dei più grossi progetti di ampliamento iniziò nel 1581: i monaci erano aumentati e si rese necessario intervenire sul Chiostro Grande, dove furono realizzate nuove celle e fu adeguato il sistema idrico. Sono presenti nella struttura ben 9 pozzi d’acqua differenti, dislocati in aree diverse.
Dal 1623 e per oltre trent’anni l’architetto Cosimo Fanzago collaborò con il monastero intervenendo in varie parti. Al termine di questo periodo lasciò un segno molto marcato nell’apparato decorativo del complesso, sostituendo i decori geometrici con frutti, fogliame e volute stilizzate.
Durante la rivoluzione napoletana del 1799 la Certosa subì molti danni e alla fine fu occupata dai francesi.
Il re decise la soppressione dell’ordine monastico dei benedettini, accusati di essere simpatizzanti della repubblica, ma poi revocò l’ordinanza e i monaci poterono rientrare nel 1804.
Dopo alterne vicende, nella seconda metà dell’Ottocento, soppressi gli ordini religiosi, la Certosa divenne proprietà dello Stato e fu destinata a museo nel 1866 e annessa al Museo Nazionale come sezione staccata.
Fu infine aperta al pubblico nel 1867.
La Certosa di San Martino è suddivisa in diversi ambienti, al momento non tutti aperti al pubblico, caratterizzati da raccolte molte differenti tra loro, ma tutte di grande pregio.
Tra queste spiccano la Chiesa, l’Androne delle Carrozze, la Sezione Presepiale e il Quarto del Priore con la Scala di accesso al giardino pensile.

Le bellezze della Certosa di San Martino
La chiesa
La nostra visita alla Certosa è iniziata dal Cortile monumentale, da cui si accede all’ingresso della Chiesa sulla sinistra e dove, volgendo lo sguardo verso l’alto, è possibile ammirare una porzione del maestoso Castel Sant’Elmo.
La chiesa è un’esplosione di arte, architettura, decori, opere e affreschi realizzati da grandissimi artisti. Eretta inizialmente in uno stile gotico, con una grande navata centrale e due piccole navate laterali, nella seconda metà del Cinquecento un’imponente opera di rinnovamento, continuata nel Seicento e nel Settecento, la rese quel gioiello che oggi possiamo ammirare. Le navate laterali furono sostituite da una serie di cappelle, ornate con preziosi intarsi in marmo policromo, dipinti e sculture.
Molto si deve a Cosimo Fanzago, che lavorò con la certosa per oltre trent’anni, regalando opere di straordinaria fattura.
Si racconta che Fanzago sia stato costretto a lavorare per i monaci per scontare una sorta di pena, essendo stato accusato di aver “fatto la cresta” sui marmi utilizzati per le sue opere.
Ma si tratta di dicerie, pettegolezzi tramandati oralmente. Non c’è nessun documento che attesti la veridicità di quanto raccontato.
Il soffitto è un tripudio di luce dorata, grazie alla raffigurazione dell’ascensione per opera di Giovanni Lanfranco.

La balaustra della chiesa è decorata con pietre preziose: splendidi lapislazzuli, con quel caratteristico colore blu punteggiato d’oro, presumibilmente provenienti dalla Russia, impreziosiscono la struttura.
Le cappelle, dedicate ciascuna a un santo differente, sono ricche di decori in marmi pregiati, statue e dipinti. Siamo stati colpiti da una in particolare: quella dedicata a San Giuseppe.
È piuttosto raro che ci siano cappelle dedicate allo sposo di Maria.
All’interno di questa cappella ci sono alcuni dipinti che ne raccontano la storia fino all’Ascensione in cielo.
La sagrestia
La sagrestia è splendidamente decorata con armadi caratterizzati da tarsie lignee realizzate per lo più da artisti fiamminghi del Cinquecento.
Nel Coro e nella Cappella del Tesoro è possibile ammirare opere d’arte di pittori del calibro di Guido Reni, Jusepe de Ribera (lo Spagnoletto ndr), Massimo Stanzione, Battistello Caracciolo e Luca Giordano.

La Cona dei Lani
Superato il piccolo Chiostro dei Procuratori, si arriva all’area conosciuta come Androne delle Carrozze. Lì c’è una nuova area aperta al pubblico, la Cona dei Lani, dove sono sistemate le statue restaurate da poco provenienti dal polittico dei Lani. C’è una figura in particolare che ha attirato la nostra attenzione, posizionata accanto all’ingresso sulla sinistra: una statua raffigurante Sant’Ambrogio, patrono di Milano. E’ sicuramente insolito e inaspettato ritrovare il vescovo Ambrogio a Napoli.

L’Androne delle Carrozze
L’Androne delle Carrozze ospita due magnifiche carrozze ed alcuni stemmi reali. Tra questi, lo stemma dei Borbone delle Due Sicilie, proveniente dalla facciata di Castel Nuovo.
La prima carrozza, la più antica, risalente alla fine del Seicento – inizi del Settecento, è realizzata in legno dorato e decorata con drappi rossi. Era usata per trasportare gli Eletti della Città durante le cerimonie ufficiali. Fu utilizzata l’ultima volta nel 1861.
La seconda carrozza, realizzata in uno stile più sobrio, con tendaggi azzurri, era la Berlina Reale. Realizzata tra la fine del Settecento e inizio dell’Ottocento, apparteneva a Maria Cristina di Savoia.

Il nostro viaggio tra le bellezze della Certosa di San Martino per ora si conclude, ma non finisce qui. Torneremo la prossima settimana con nuovi interessanti dettagli.