“Napoli è un Paradiso: tutti vivono in uno stato di leggerezza e di oblio di se stessi, me stesso incluso.
Mi sento come se fossi una persona completamente diversa, a fatica riesco a riconoscermi. Ieri mi dicevo: o eri folle prima, o lo sei adesso.”
Questo è ciò che scriveva Johann Wolfgang Goethe nel 1787, pochi mesi dopo essere arrivato in Italia per il suo Grand Tour.
Queste parole esprimono un amore incondizionato per questa magnifica e difficile città.
Durante il suo soggiorno si recò anche più volte sulla cima del Vesuvio, agli scavi di Pompei e nei Campi Flegrei per visitare Pozzuoli e la Solfatara.
Napoli era una delle tappe preferite dai giovani viaggiatori europei e non poteva assolutamente mancare nell’itinerario di viaggio del Grand Tour.
Cos’è il Grand Tour
Era un lungo viaggio intrapreso dai giovani rampolli di famiglie aristocratiche, a partire dal XVII, secolo attraverso l’Europa continentale.
Il termine Grand Tour si riferisce al fatto che il viaggio era organizzato in genere come un giro, in modo da iniziare e terminare nella stessa città.
La definizione è attribuita a Richad Lassels, che ne fece uso per primo nel suo The Voyage of Italy del 1670, in cui fa un resoconto dettagliato dei suoi viaggi in Italia, dando una serie di preziose indicazioni sulle difficoltà nel viaggiare, le abitudini locali e il patrimonio naturale e artistico.
Il tour aveva una durata variabile, dalle poche settimane ad interi anni, e tra le mete preferite l’Italia primeggiava per la sua storia, arte e architettura.
Il clima sicuramente giocava un ruolo fondamentale nella scelta, considerando che molti dei giovani provenivano dai paesi del nord Europa, prevalentemente dalla Gran Bretagna.
Tra le tappe che non potevano mancare in Italia c’erano il Lago di Como, Roma, Napoli con i Campi Flegrei e la Sicilia.

Lo scopo del viaggio
Il viaggio era effettuato in genere a cavallo oppure in carrozze di varie dimensioni, a seconda delle possibilità della famiglia.
Lo scopo di questo viaggio era di formare una solida base culturale e di completare la formazione ed educazione dei giovani, portandoli a diretto contatto con le meraviglie dell’antichità classica, le bellezze naturali e artistiche.
Ma il viaggio non si limitava a questo. I giovani avevano l’opportunità di partecipare a eventi pubblici, manifestazioni di vario genere, rappresentazioni teatrali e di vivere la realtà e la quotidianità delle città visitate.
Durante il Grand Tour entravano in contatto con la cultura locale, imparandone la storia, gli usi e costumi.
In base alle possibilità economiche, potevano anche acquistare alcune opere d’arte e cimeli di vario genere.
Molti durante il loro soggiorno a Roma approfittavano per commissionare qualche ritratto ad un artista locale, a testimonianza e ricordo dell’esperienza.
Altri acquistavano dipinti con vedute e paesaggi italiani; d’altronde la fotografia non era ancora stata inventata.
Napoli tappa del Grand Tour
Andare a Napoli e visitare i Campi Flegrei e gli scavi archeologici di Ercolano e Pompei erano un’opportunità unica per imparare molto sui fenomeni naturali, quali l’attività vulcanica. Ma Napoli regalava anche un contatto diretto con il Neoclassicismo, l’arte, l’architettura. Tappa obbligata divenne anche il Teatro San Carlo, considerato uno dei più belli d’Italia.
Il popolo napoletano era molto vivace e accogliente e sono molti i resoconti di viaggio che testimoniano il fermento della città a tutte le ore, raccontando con stupore e compiacimento le avventure e gli incontri mai noiosi che regalava questa città. L’osservazione e il contatto con gli abitanti diedero ai visitatori la possibilità di andare oltre i racconti e i pregiudizi che una città come Napoli si è sempre portata addosso, come un velo che ne opacizza la bellezza.

La Francia punto di partenza del Grand Tour
Se l’Italia era meta del viaggio per acquisire conoscenze storiche, artistiche e culturali, la Francia lo era per lo stile, l’educazione e la grazia.
I giovani aristocratici europei partivano alla volta di Parigi per rinnovare il proprio guardaroba e acquisire educazione e buone maniere degne dell’aristocrazia che rappresentavano. Tant’è che il tour spesso iniziava proprio con la città di Parigi.
Di frequente il risultato di questo lungo periodo di studio itinerante per l’Europa era la pubblicazione di una sorta di diario o appunti di viaggio. Uno degli esempi più famosi ce lo ha regalato Goethe con il suo meraviglioso Viaggio in Italia, una vera e propria dichiarazione d’amore per l’Italia. Ma non fu il solo, anche Stendhal e Dickens ebbero parole di profondo rispetto e stima per il nostro Paese.
Viaggiare per piacere
A partire dal XIX secolo il Grand Tour divenne una pratica comune anche tra le donne dell’alta società. Ovviamente non era consentito che partissero da sole, ma in genere erano accompagnate da qualche nubile zia.
C’è da dire che il concetto di viaggio in solitaria era da escludere in ogni caso anche per gli uomini. Trattandosi di rampolli di importanti famiglie, il viaggio era organizzato nei minimi particolari e ciascun giovane aveva al seguito un certo numero di accompagnatori, pronti ad assisterlo per ogni necessità. Il numero poteva variare in base alle competenze dei singoli accompagnatori, si andava da uno ad interi cortei con cuochi, sarti, servitori, interpreti e via dicendo.
Negli anni furono pubblicate innumerevoli guide per l’organizzazione del tour, con indicazioni preziose sui pericoli e le difficoltà in cui ci si poteva imbattere. In particolare si poneva l’accento sulle condizioni delle locande e degli alloggi utilizzati per le soste notturne durante i lunghi spostamenti. Non era raro imbattersi in incontri ravvicinati con insetti di vario genere che popolavano i giacigli. C’era poi il problema del brigantaggio, per cui era sconsigliato uscire dai percorsi più battuti e quindi più sicuri.
Questo tipo di viaggio è quanto di più simile al concetto moderno del viaggiare, senza uno scopo specifico, soltanto per il piacere e la curiosità di vedere e di vivere di persona i luoghi di cui si è tanto sentito parlare. Fino a quel momento il viaggio era stato soggetto quasi sempre a necessità specifiche, quali scambi commerciali, pellegrinaggi o questioni di vario genere.

Napoli e Andersen
Goethe non fu il solo a manifestare sentimenti d’amore e di stima nei confronti di Napoli e dei suoi abitanti.
Tra i personaggi che non hanno resistito al fascino del Grand Tour c’è anche lo scrittore delle fiabe più belle mai narrate, Hans Christian Andersen. Ebbe l’occasione di venire in Italia più volte a partire dal 1833 e tra le sue destinazioni ovviamente non poté mancare anche Napoli. Rimase colpito dalla bellezza della città e dei suoi dintorni e dall’accoglienza del suo popolo.
Faceva lunghe passeggiate perdendosi per le strade del capoluogo campano e si ritirava soltanto a notte fonda. Una delle destinazioni che più lo colpì fu il Vesuvio, così come accadde a Goethe, e ne raccontò il viaggio verso la cima con suggestive parole.
Durante i suoi tre viaggi a Napoli si recò anche a Pompei, Capri, Madonna dell’Arco, Ischia, Sorrento e in molti altri luoghi, spinto dalla curiosità e dal crescente amore per questa terra.
Si innamorò a tal punto della città di Napoli da arrivare a dire: “Quando sarò morto tornerò a Napoli a fare il fantasma perché qui la notte è indicibilmente bella“.